Gli angoli delle cartoline

L’impronta, culture fotografiche
Via Calabria 3D, Cosenza

Storie di spazi

dal 5 gennaio 2016

testi di Nello Rossi, Sonia Ferrari, Antonio Armentano, Erminia d’Alessandro


Massimo Celani
Gli angoli* delle cartoline

* La caduta degli angeli, non sarebbe piuttosto la caduta degli angoli? 
In ebraico esiste un solo vocabolo per esprimere le due cose, scriveva Cocteau.
 La prendiamo per buona: è troppo difficile da verificare. Chissà!


Mi capita spesso di desiderare la sparizione della cassetta postale. Oggetto, un tempo polimorfo e aperto alla varietà dell'emittenza oggi solo perverso, che a lungo segnalava una presenza, una residenza, un recapito, un fuoco, un'abitazione, un luogo di lavoro.
Se in un box c'è scritto a corpo piccolo "Massimo Celani" vorrà pur dire che esisto e che sono nei paraggi. Ora però che le cartoline e le lettere degli amici le ricevo per posta elettronica, che gli auguri di compleanno me li fa Facebook (nell'orribile forma di un automatismo estorsivo: oggi compie gli anni Tizio, domani li compie Caio,“invia loro i tuoi auguri”) e che quel box viene intasato dall'Enel (a breve pure dal canone Rai abilmente spalmato), dall'Enigas e da altre gestori, da Equitalia e dalla Fondazione per la ricerca sul cancro (saranno forse la stessa cosa?) e da altri soggetti come le ong che i soldi da te non li pretendono ma auspicano fortemente che tu glieli invii tanto sono esiziali per i loro destini, è umana la voglia di farla a pezzi.


La destinazione d'uso più nobile della cassetta postale è stata ricevere cartoline. Frammenti di paesaggio e lembi di alterità in forma di pensiero da/per gli amici: sono stato a Honolulu o a Zumpano Scalo e ti ho pensato. Saluti spiritosi (tipo "salutam'assuorta"), seguono firme.
La cartolina ha due lati (un angolo di mondo e sul retro un francobollo - che è un'altra metonimia - il destinatario, un'indirizzo e un tweet) e pure due versanti: la forma breve e il frammento. Rientra appieno nella brevitas connotativa della modernità, tendente al frammento, residuo di un naufragio delle forme e dei generi[1].  Elusiva ed ellittica, tende a vivere della sua autonomia, ma può anche comporre con altri frammenti un quadro più ampio. E' il caso di questa serie dove ogni cartolina è tessera, tassello, parte di un tutto che è la città di un tempo. Cosenza, di un'epoca antica e nello stesso tempo di più epoche, città di un tempo alla cui ricostruzione in via comparativa o in via stratigrafica Antonio Armentano allude elegantemente. Ecco la Mouvance, la dimensione temporale del territorio. Parola che nel diritto feudale significa “dipendenza” (di un feudo), “sfera di influenza” e poi “mobilità, mutevolezza”.


Più che "ricostruzione" sarebbe più corretto dire "prefigurazione", se non fosse per quel "pre" molto critico e con l'arietta del post.
Post-figurazione indiziaria e après coup, attraverso luoghi notevoli, tropi e stereotipi, scene madri e atmosfere caratteristiche di ciò che fu città. Una cartolina con un frammento di città è un'operazione che complica la vita alla dicotomia benjaminiana della città vista dal turista o da un nativo[2]: la foto di una cartolina postale solitamente è realizzata da un nativo (ma potrebbe essere di un autore parte di un dispositivo di postcard) e viene inviata a un cittadino residente altrove. Non è dunque frutto del mio sguardo di viaggiatore, ma visione - anche se stereotipata - della comunità dei nativi. Non si tratta dell'angulus ridet che ci sorprende e ci punge, ma visione standardizzata - o se si preferisce canonizzata - di un'immagine di città.
Nella rivoluzione estetica e filosofica della modernità postromantica la brevitas si dirige verso una frammentarietà forse più evidente e autonoma, nella doppia direzione di una scrittura che testimonia da un lato la frantumazione dell’unità e l’impossibilità di una qualsiasi sintesi idealista[3]. Si veda a tal proposito il tramonto della grande pianificazione col conseguente cedere il passo a modelli dinamici, a cascata, comunque centrati su una pragmatica dagli effetti virtuosi. Meno gabbie concettuali, più sensibilità topologica, l'attività di planning è immancabilmente site specific.


Una cartolina è dell’ordine del taglio e della sottrazione. In retorica si costituisce grazie all’ellissi e alla reticenza, oltre che alla brevitas. Incarnazione paolina del “downsizing”, della riduzione dei supporti[4]. Quando poi la cartolina ritrae un angolo peculiare di una città siamo in presenza di una metonimia (nel senso più proprio di sineddoche, come parte di uno o più edifici) di una metonimia (l’elemento architettonico come rappresentante rappresentativo dell’intera città). Il taglio, vale a dire l’inquadratura, mette ordine e tacita il superfluo, le superfetazioni, lo sporco. Già in partenza silenzia l’innecessario dal punto di vista della coerenza formale. Per non parlare di ciò che sarà, di ciò che verrà ad agglutinarsi nel dipoi, nelle epoche a seguire, segnate dalla sauvagerie dell’edilizia. Colpisce, questa Cosenza, quanto sia senza un sacco di cose, brutte e inutili, che solo un maledetto horror vacui è stato in grado di determinare. Segno che le cartoline delle città in fondo sono un prodotto detergente, ci mostrano una igiene ex-ante dei luoghi, ci consegnano la loro sintassi.






Si mostra qui una Cosenza amabile, innamorabile. La cosa riguarda sia i nativi, i cosentini, sia i turisti o chi di passaggio (per brevi periodi di residenza – è il caso del feedback di tutti i partecipanti alle residenze artistiche dei BoCs) ha l’occasione d’invaghirsene. Certo si tratta di una fissazione narcisistica ed è Freud a ricordarcene la struttura quando parla della Verliebtheit (cioè dell’innamoramento) e del Narzissmustypus. “E' fissato dal fatto che si ama innanzitutto quello che si è, cioè, Freud lo precisa tra parentesi, se stessi; in secondo luogo ciò che si è stati; in terzo luogo ciò che si vorrebbe essere; in quarto luogo la persona che è stata una parte del proprio io”[5]. Se, per qualche perversione gerontofila, l’investimento avesse come oggetto una vecchia signora qual è un centro storico o comunque la parte vecchia della città (ovviamente comprendendo tutta le realizzazioni di epoca fascista), l’articolazione non varierebbe: si ama ciò che si è, ciò che si è stati, ciò che si vorrebbe essere, oltre che gli angoli e i luoghi che sono stata parte delle nostre identificazioni costitutive.                                                                                                                                                                                                                                                                                   



       
                                                                 
Ex-post è facile dire che quella era la città ideale. Infatti è “come si vorrebbe essere visti”. Ma, non sfugga il particolare, è immaginaria.[6]
Per Derrida la filosofia stessa può essere considerata come una cartolina postale “scritta con l'intenzione di arrivare a destinazione ma che in realtà non lo fa. La filosofia che raggiunge la destinazione e che si distrugge in quest'ultima cessa di essere filosofia vera" (Jacques Derrida, La carte postale[7]).



“Cara Signora Tosoni”, alla quale Jacques Gubler indirizzò 129 cartoline, apparve ai più un destinatario finzionale, un po’ come la casalinga di Voghera evocata da Alberto Arbasino, stereotipo dell’italietta piccolo-borghese e del “solido buon senso lombardo”. Apparve per la prima volta nel numero 478 di marzo 1982 di ‘Casabella’, come elemento caratterizzante della direzione di Vittorio Gregotti.[8] Solo pochi addetti ai lavori sapevano che la signora Tosoni era la segretaria (poi promossa sul campo coordinatrice) di redazione di una delle più importanti riviste d’architettura, collaboratrice di Ernesto Nathan Rogers, poi di Bernasconi, Mendini, Maldonado, Gregotti e Dal Co. Finché Skira, nel 2006, le dedicò un bellissimo volume curato dallo stesso Jacques Gubler, “Cara signora Tosoni. Le cartoline di Casabella 1982-1996”.



La fotografia come il linguaggio non sono fini a se stessi, e quando lo diventano si trasformano in qualcosa di arido e pedante. Così può capitare che una piccola cartolina, vale a dire un incastro verbo-visivo coerente, certo vivificata dall’arguzia dello storico dell’arte svizzero, finisca col reggere 14 annate di dibattito architettonico/urbanistico (pure compensando col suo umorismo minimalista un eccesso di prosopopea accademica).
Gli architetti, gli stilisti, gli antropologi, gli studiosi del costume e del paesaggio, dovrebbero erigere un monumento alla cartolina. Magari in modo non monumentale: un formato 10x15 è sufficiente.






[1] Emilien Sermier, in www.fabula.org (21 juillet 2015), a proposito di  “Brevitas. Parcours esthétiques entre la forme brève et le fragment dans la littérature occidentale », Colloquio di Trento, 4-6 novembre 2015
[2] Walter Benjamin, Immagini di città, Einaudi, 2007. Sua la distinzione tra l'ottica con cui una città è vista da uno straniero e da un nativo del luogo: mentre lo straniero ha una visione prevalentemente spaziale, il nativo ne ha una visione soprattutto temporale. Le mappe e ancor più le osservazioni ad esse connesse s'inscrivono in una topografia culturale, "presuppongono un viaggio della mente e un'idea di spazio che, di epoca in epoca, accrescono le possibilità spirituali non solo di chi guarda l'oggetto città, ma dell'oggetto guardato; non solo di chi pensa, ma dell'oggetto pensato." (Maria Corti, La città come luogo mentale, in "Casabella" n.535, 1987)

[3] Emilien Sermier, in www.fabula.org (op.cit)

[4] Pino Stancari s.J. glossa così la lettura di San Paolo : « Nostro Signore Gesù Cristo è il sì, l’amen, il farsi piccolo di Colui che è grande. Piccolezza dell’incontenibile”. In “Brevitas”, conversazione con Pino Stancari, Alberto Abruzzese, Daniele Gambarara e Marcello Walter Bruno, a cura di Massimo Celani, RAI – Radio1, Audiobox, 1985.
[5] Jacques Lacan (1953-1954), Il seminario, Libro I, Gli scritti tecnici di Freud, ed, it. a cura di Giacomo Contri, Einaudi, 1978 (pp. 164-165).
[6] A Lacan non sfugge la distinzione freudiana tra Ich-Ideal (l’Io Ideale) e Ideal-Ich (l’Ideale dell’Io). L’Io ideale appartiene al registro dell’immaginario e riguarda l’immagine idealizzata del soggetto (è “come si vorrebbe essere visti”). L’Ideale dell’Io (registro del simbolico) è frutto dell’identificazione edipica, ed è in relazione allo sguardo sociale, agli ideali condivisi, all’appartenenza al gruppo (mentre il Super Io – che ricade nel registro del reale - si pone come analogon dell’Ideale dell’Io nei suoi aspetti punitivi o vendicativi). Cfr. J. Lacan (1953-1954), Il seminario, Libro I (op.cit.) e J. Lacan, (1954-1955), Il seminario, Libro II, L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, ed. it. a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2006.

[7] “Potreste leggere questi invii come la prefazione di un libro che non ho mai scritto. Vi avreste trovato una trattazione che va dalle poste, di ogni genere di poste, alla psicoanalisi. Non tanto per tentare una psicoanalisi dell’effetto postale, quanto piuttosto per rinviare da un evento singolare, la psicoanalisi freudiana, ad una storia e ad una tecnologia del corriere, ad una qualsiasi teoria generale dell’invio e di tutto ciò che attraverso una qualsivoglia telecomunicazione pretende destinarsi. (…)  Chi scrive? A chi? E per inviare, destinare, spedire cosa? A quale indirizzo? Senz’alcun desiderio di sorprendere, e quindi di catturare l’attenzione a forza di oscurità, devo, per l’onestà che mi rimane, dire che, alla fine, non lo so. Soprattutto non avrei accordato il minimo interesse a questa corrispondenza e a questo découpage, voglio dire, alla loro pubblicazione, se una qualche certezza, su questo punto, mi avesse soddisfatto. Il fatto che i firmatari e i destinatari non siano sempre visibilmente e necessariamente identici da un invio all’altro, che i firmatari non si confondano forzatamente con coloro che inviano, né i destinatari con coloro che ricevono, ovvero con i lettori (tu, per esempio), etc., ne farete l’esperienza e lo sentirete a volte molto vivamente e anche confusamente. Ed è a causa di ciò e del sentimento sgradevole che ne viene che prego ogni lettore ed ogni lettrice di perdonarmi”. Jacques Derrida, La carte postale. Da Socrate a Freud e al di là, Mimesis, 2015 (Flammarion, 1980).

[8] “Cara Signora Tosoni, Questa casa sul canale a Gravesend (Kent) mi ricorda che Lei ama David Copperfield. Era anche il romanzo preferito di Dickens. Dostojevskij l’aveva letto all’uscita dal carcere. Questo libro è un esempio di “buon uso” della nostalgia. (…) (la cartolina raffigura la “Casa di Pegotty” a Gravesend, demolita nel 1933). Vorrei confermare la perennità dei miei sentimenti di rispetto. Suo Gubler.”





Commenti

Post popolari in questo blog

In punta di penna