Un gatto senza nome

“L’animale ci guarda e noi siamo nudi davanti a lui". 


Maschio sterilizzato, tredici anni portati benissimo, portamento altero ma di buon carattere e giocherellone. Nel lanciare un disperato SOS gli ex proprietari - in via di trasferimento - hanno dimenticato di confessarne il nome. Spero si tratti di una anticipata elaborazione del lutto e non di una sbrigativa messa alla porta di un soggetto che tutto sembra meno che un giocattolino (magari consigliata da qualche neonatologo che in tal caso dovrebbe immediatamente cambiare mestiere). Lo chiameremo Signor Gatto. Come mia madre avrebbe rimarcato di una qualsiasi persona univocamente perbene, "quello è un signore". E di solito lo è veramente. 
In società e nelle relazioni diplomatiche, come potrà intuirsi dalla signorilità della posa (diremmo, per stare nei confini di questo blog, "metafisica"), di gran lunga preferibile al nostro Ministro degli Esteri, sicuramente meno ignorante e gaffeur.


Parole nude, per incominciare, annunciano fin dall’inizio che attraverso una riflessione sull’animalità si tratterà innanzitutto del nudo in filosofia (p. 35; 15). È di fronte all’animale, in effetti, allo sguardo della sua gatta, che – con una messa in scena solo apparentemente sartriana, in realtà post-heideggeriana, post-levinasiana, post-lacaniana – Derrida stesso scopre il disagio, il pudore, l’imbarazzo del sapersi nudo e trovarsi rispecchiato e osservato dalla nudità dell’altro, nudità che riteniamo strutturale e inconsapevole (e quindi propriamente neanche davvero tale), nell’atteggiamento pieno di vergogna di chi si sente come una bestia e perciò, sapendo di esser nudo, invece pudicamente si riveste: “L’animale sarebbe in situazione di non nudità in quanto nudo e l’uomo in situazione di nudità dal momento che non è più nudo. Ecco una differenza, un tempo o un contrattempo tra due nudità senza nudità” (p. 40; 20).
E se il punto di vista del gatto, dell’altro assoluto e totalmente altro che non solo mi guarda, ma che reclama forse anche qualcosa, fosse invece proprio quello da cui occorre partire per tematizzare, rivelandola finalmente, la sua e la mia paradossale nudità/non nudità, oltre che la bestialità soltanto mia?A partire da Bentham e dalla sua sfida a chiedere non se gli animali pensino o parlino, ma se soffrano come noi – ovvero se possano non potere, se possano paradossalmente essere impotenti nella loro vulnerabile passività che condividono con la nostra finitezza e se perciò meritino compassione (cfr. p. 66; 49) – si snoda una riflessione che, da un’altra prospettiva sull’animale e sulla nudità sua e nostra, indaga in realtà una diversa genesi del pensiero: “L’animale ci guarda e noi siamo nudi davanti a lui.  
E pensare comincia forse proprio da qui”.
Ma non dice in fondo ‘eccomi’, a suo modo, anche l’animale, indicandosi autodeitticamente in un: ‘sono qua’, ‘sono io’, quando obbedisce mansuetamente alla mia convocazione? Eccomi, eccoci. 



Jacques Derrida, seminario di Cerisy del luglio 1997 su L’animale autobiografico.



si prega di segnalarne la disponibilità all'accoglienza al 328 1650163 (luigi).

Astenersi leghisti, salviniani, cinquestelle e fratelli italioti.


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scene di una famiglia interspecifica:


Marina, Matilde e la Miss,




Massimo, la Miss e Matilde


 Matilde e Marfoosh sul seggiolone,


Marfoosh e la Miss sul passeggino


pappa



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