Scalabili
Scalabili
Partiti, barchette e soldatini
di Massimo
Celani
Kim Jong-un: un
dittatore sanguinario che è in guerra con tutto il mondo, soprattutto il mondo
dei parrucchieri. (Maurizio Crozza)
Ma se lo uccidiamo non
troveranno un nuovo tipo cicciotto con i capelli da scemo con il quale
rimpiazzarlo? (The Interview)
"
Manuale, tascabile
A mo’ di
riflessione di fine anno (ammetto una certa finalità preterintenzionale che
potrebbe risultare benefica o comunque edificante) annoto la nozione di scalabilità.
Da
giovane, svogliato e ciuccione come tanti, ho maturato un sentimento di
riconoscenza per dei volumi di piccolo formato, “manuali” nel senso che stavano
in mano e dunque erano pure “tascabili”, insomma piccoli ma curatissimi, pocket
coffee, scatolino di sorprese, di gioielli che mi arrivavano per posta.
“Il
catalogo” era l’iniziativa editoriale made
in Reggio Emilia che, con sommo anticipo su Amazon, dava senso alla buca
delle lettere. Strumento fondamentale che chiudeva il cerchio di Elitropia e
della collana “In forma di parole”. Modo sintetico per una restituzione grata (Gianni Scalia Santo Subito e causa di
beatificazione per Marco Belpoliti) a chi mi trasmise l’amore per la
lettura e la traduzione, oltre a condurmi nel deserto di Edmond Jabès fino a
quel momento sconosciuto. Una grandezza fuori scala, che non necessitava di
tomi (salvo recuperarne il senso nella partizione: Libro Primo, Libro Secondo anche quando possedevano l’ingombro dei soldatini).
Poi più niente, la cassetta postale ha perso di senso. Fino a ridursi (questa
sì una riduzione in tutti i sensi) a dialogo con Enel, Enigas, Telecom e
Agenzia delle entrate. Mai che qualcuno m’invii una cartolina. Insomma, ho
nostalgia del cosiddetto “piego” di libri, di quei libri di piccolo formato e
di ciò che con un Garamond piccolissimo si ammoniva in esergo: “MANUALE –
Titolo che si dà a certi libri e compendii, per annunziare che se ne dee far
uso frequente, e averli sempre, per così dire, alla mano”.
Dunque,
dicendo scalabile, non sto evocando l’ascensione, se non in via metaforica e
ultraterrena, degli scrittori scalatori come Erri De Luca o Mauro Corona. Con
tutto il rispetto, non mi riferisco alle immensità e alla purezza
dell’Altissimo. Poiché il Male può provenire sia dall’alto che dal basso, mi
colpì molto l’impulso a confessare renziano, che – riuscitissimo quanto solo un
atto mancato sa essere – un giorno ammise di essersi accorto un giorno che “il
PD era scalabile”. Enunciato da far
rabbrividire anche a bassa quota e che evidentemente è sfuggito al bravo e
infatuato psicanalista che oggi teorizza sulle altezze del jobs act. Scalabile
un partito? Era la prima volta che sentivo una cosa del genere. Il partito di
Gramsci, il cui organo di stampa era L’Unità (che correttamente uno studioso
come Carlo Finale definiva “quotidiano di metafisica”), era scalabile, vale a
dire incanalato sull’asse metaforico finanziario. Per quale grandeur un
gruppetto di arguti giovanotti toscani poteva arrivare a concepire un pensiero
del genere? Non c’era bisogno di Leopolda (scarto e scala dei treni in
miniatura), da lungo tempo Renzi è avec
Serra. Non come Kant con Sade o Lacan con Gesù bambino. E Massimo Recalcati ha
buon gioco a intendere che l’OPA ostile sul PD mal si concilia con la
fantasmatica del sacrificio. Salvo
sacrificare un partito a causa di un Ego XXL. Con poco Telemaco e nessuna
evaporazione del padre.
"La Leopolda del
2011 mi ha fatto capire che questo Paese era scalabile, so che questo termine
creerà polemiche ma lo dico: per anni ci hanno raccontato che l'Italia era un
paese chiuso, eppure giorno dopo giorno ci rendevamo conto che si potevano
cambiare le cose sul serio"[1].
Chiarisce qualche mese
appresso Ezio Mauro, la formula di «un partito forte perché scalabile, robusto
e nuovo perché contendibile, che sappia aprirsi alla società e accetti di
correre dei rischi pur di portare all’interno la montagna di energia
democratica che c’è nel paese».
Eh già,
le montagne a volte sembra stiano lì per essere scalate.
Insopportabile
l’eco del capitolo XXVI del Principe (Esortazione
a liberare la Italia da’ barbari): Non
si deve adunque lasciar passare questa occasione, acciocché la Italia vegga
dopo tanto tempo apparire un suo redentore.
Non
avendo precisamente le physique du rôle del
redentore, l’idea renziana di scalabilità confessa dunque una capacità di cogliere
l’attimo concesso dalle circostanze, per appropriarsi del comando, un’idea di politica
come occasione da non perdere. Con il termine scalata si indica infatti, in ambito economico, l'acquisizione del
pacchetto azionario di controllo di una società per azioni da parte di un
imprenditore o di un'altra società[2]. Oppure,
un hapax legomenon di un giovanotto volitivo,
tenace e combattivo[3].
Con un corollario: "la terza legge di Parkinson vi assicura il successo
purché siate un uomo assolutamente mediocre."[4]
Il nostro
piccolo picconatore si presenta dunque come alter ego del finanziere di Algebris,
vale a dire come raider che cerca di
capire se la ditta si trova in una
crisi strutturale (e quindi è da smembrare o da non acquistare), oppure se si
trova in una crisi congiunturale, potrà essere salvata. Il raider valuta gli
"asset" dell'azienda da acquistare, gli impianti produttivi, i brevetti,
la capacità imprenditoriale dei dirigenti, gli immobili, le potenzialità del
mercato, la disponibilità di personalità note ad agire come testimonial
positivi, federatori e intermediari (Prodi, Veltroni, Fassino). Isotopiche
risultano così sia le nozioni di "rottamazione" (quest'ultima rubata
all'industria automobilistica), sia quella di "Ditta" (usata da
Bersani con somma ironia e certo con più rispetto dell’intertestualità
concentrata nella tradizione, tessuta nel canone, negli slittamenti PCI, PDS,
la cosa, l’Ulivo, PD). Come non tener
conto di tale scenario tutto sommato economico-finanziario alla luce degli
esiti di questi giorni, di abbandoni e scissioni, di voci sagge che consigliano
al Segretario di “farsi un partito (tutto) suo”? Detto in altro linguaggio, il
raider era molto poco etico e aveva messo in conto lo smembramento e la
dismissione di alcuni asset. In primis quello che caratterizza in via
fantasmatica l’essere “di sinistra”. Con
la ripercussione reale, impossibile a dirsi, di doversi cimentare con un’agenda
setting tra un “la sicurezza è un concetto di sinistra” e un “aiutiamoli a casa
loro”, tra un giglio magico e un Marco Minniti, tra gli 80 euro e un bonus, di
un partito sempre più reazionario.
Fuori scala
"Voce del mare soffocata. Voce della sabbia sommersa".
Dall’altro di via dei Renzi, nel rione Canalone, l’immagine guardando verso il golfo in direzione sud era impressionante: sembrava che la nave lambisse le case, con la chiglia proiettata fin quasi alla palazzata. Agli inizi sembrava una semplice disavventura di mare, come ce ne sono tante, ma quello della “Yasmina Kingstown” divenne un vero e proprio caso (,,,)
(adnkronos 05/11/2017 11:11)
E' sbarcata poco dopo le 9 al porto di Salerno la nave Cantabria con a bordo circa 375 migranti e i corpi senza vita di 26 donne, morte durante il viaggio nel Mediterraneo.
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http://www.lacittadisalerno.it/cronaca/decennale-della-yasmina-la-citt%C3%A0-si-ferm%C3%B2-per-una-nave-1.575377
Donne chiuse nel ghiaccio e arrivate a noi dal passato
di Rino Mele07 novembre 2017
Con una nave militare spagnola, chiuse nel ghiaccio, sono arrivate come archetipi femminili, dopo l’inferno in Libia e la morte nel Mediterraneo. Approdate sulla spiaggia di Salerno sono diventate salernitane (è accaduto innumerevoli volte: Palinuro timoniere della nave di Enea, era giunto con l’eroe troiano lungo le coste della Campania, ma viene addormentato da un dio - proprio lui, il cangiante Somnus - e sbalzato nelle onde notturne, lo racconta Virgilio nel V libro dell’Eneide. Così, questo marinaio dell’asia Minore, divenne - morendovi - campano, gli fu data la cittadinanza, usufruì in qualche modo particolare - sprofondando a testa in giù - dello ius soli e diede il suo nome alla terra su cui alla fine giacque sbattuto dalle onde). Perché morire è come nascere: ti dona un’appartenenza definitiva. Sarebbe coraggioso renderle salernitane davvero, queste 26 giovani donne nigeriane, dar loro la nostra cittadinanza: un gesto inimmaginabile. I medici legali, gli specialisti che hanno avuto l’incarico per l’autopsia, si troveranno di fronte a una morte in ogni caso violenta, ripetuta ventisei volte: dovranno rispondere a molte domande, ricostruire di quelle vite la straziata fine. Tutte insieme, come una costellazione, fuggivano da una loro pena, hanno pagato 6000 dollari, ognuna, per venire a morire in Europa; e non sapranno mai che l’Europa non c’è e ha un superbo sterile sguardo. Sono partiti, i migranti sbarcati dalla nave “Cantabria", dalle coste della Libia, da Zwara in Tripolitania. Cosa sia Zwara l’abbiamo appreso un paio di mesi fa. In un reportage di “Avvenire” del 3 settembre, si parla di Zwara come dello schifo del mondo, orridi lager, un bruttum e inaudito, “il buco nero delle prigioni clandestine libiche ha numeri da Terzo Reich”. I campi di concentramento non stati chiusi mai del tutto, ne scopriamo dovunque nuove tracce. Sappiamo che ci sono e, per tener pulita la nostra coscienza, fingiamo di non vederli. Le torture in Libia, la morte in mare, l’Europa sempre lontana.
http://www.lacittadisalerno.it/cronaca/donne-chiuse-nel-ghiaccio-e-arrivate-a-noi-dal-passato-1.1751193
Ricordo Ugo Battista, l'uomo più alto delle Alpi Marittime,
strappato dal suo lavoro di boscaiolo ed esibito in tutte le città della
Francia. Attrazione italiana dei Padiglioni delle Meraviglie, spacciata come
francese, poi emigrato a La Merica, causa crollo dell’audience, per morirci
giovane e triste (Nico Orengo, Figura
gigante, Serra e Riva Editori, 1984).
Aveva pensato all'America come alla terra dei Giganti, dove tutto è grande, dove tutto è alto: case, automobili, teatri, luna park. Aveva pensato all'America come alla terra della Libertà, molto prima di entrare in porto, dove sapeva che una signora bianca, madre di tutti i Giganti, di qua e di là dall'Oceano, gli avrebbe sorriso e illuminato le strade fra i grattacieli.
Sulla nave aveva sentito cantare: «Trenta giorni di nave a vapore, fino in America noi siamo arrivati ... » e anche «Cristofiru Culumbu, chi facisti? La megghiu giuventú tu rruvinasti. Ed eu chi vinni, mi passu lu mari cu chiddu lignu niru di vapuri... »
Ma lui avrebbe evitato l'inferno di Ellis Island, aveva un contratto. (...) A New York era febbraio. (...) Ugo Battista si dispiace che ormai francese e dialetto gli facciano miscela in testa.
"Ho contato mentalmente nel buio le costole. Mi sono
soffermato su ciascuna di esse e su tutte insieme. (...) Devo rendere semplice
e leggera l'esibizione. Da oggi ho deciso di non mangiare più, bevo e respiro
soltanto. Ho paura di fallire e vorrei rimandare il debutto, ma l'impresario me
lo impedirà. Lui possiede la determinazione di cui io sono privo. (Marco
Belpoliti, Confine. Vite immaginarie del
clown, Elitropia Edizioni, 1986, pp. 8-9).
Flotta
"Un suono emesso –
emesso da chi? – e poi nulla. Una parola – scritta da chi? – e poi un bianco. Ascoltare
quel nulla. Leggere quel bianco”.
Da un lato, l’effimero
chiarore di una lampada; dall'altro, l’ignota oscurità.[5]
ph. Franco Paternostro
Cosa c'è
di più semplice di una barchetta di carta? Eppure la sua costruzione è frutto
di sequenze, origami docet, di algoritmi di pieghe.
La testa
va a “in scala” come lo si direbbe di un trenino Rivarossi, Marklin o Lima.
Oppure a Gianfranco Pugliese che disegna con la Bic su fogli grandissimi[6].
Nelle
Pagine di Spuren dedicate allo
stupore Ernst Bloch collega in modo tradizionale la figura della meraviglia al
tema dell'inizio della filosofia ma obietta che si presta attenzione a ciò che
avviene nello stupore ma non a ciò
che avviene come stupore. Lo stupore
è evidentemente testimone dell'inizio del mondo. Una flotta di barchette di
carta è un buon inizio. E l'arte e la filosofia non fanno altro che salvaguardare
tale indicazione dell'inizio, tale quiete
anticipata propria dello stupore. Il tutto dello stupore rimette in gioco
perennemente la prima volta come identità stessa dell'Uno[7]. Dunque
è parlante prim'ancora di parlare.
lo sbarco a corso Telesio
Sembra
che gli indigeni della terra del fuoco non vedessero all'orizzonte le navi di
Magellano. Forse perché non avevano l'idea, il concetto di nave. Stessa
riflessione mitopoietica per le Caravelle di Colombo. Difficile da stabilire
una cosa del genere, bisognerebbe chiedere a Ruggero Pierantoni (Salto di scala)
Nel suo
ultimo libro[8]
siamo invitati a dotarci di un righello per misurare in millimetri l’altezza di
uomini raffigurati su di un mosaico di Thera o sui resti di un muro dell’antica
Roma; l’archeologia recente ha conosciuto una discussa “svolta metrologica”,
per la quale sembra rilevante solo quel che è cartografabile
sul terreno e riducibile all'anonimato della misura.
“Veniamo così coinvolti
in un viaggio avventuroso che attraversa le epoche, i continenti, le arti e le
scienze. Finiamo così per transitare più volte fra le due sponde dell’Atlantico,
seguendo “colossi” come la statua della Libertà, o le assonanze fra il progetto
di Suger, l’abate di Saint Denis del XII secolo, e Gutzon Borglum che nel 1927
inizia a trivellare il Mount Rushmore per scolpirvi i volti di presidenti statunitensi”.
Ma
"le misure sono parole"? Se lo chiede sulla soglia del libro
Pierantoni.
Ulisse
ormeggia prudentemente la sua nave fuori dal porto, Rovella parcheggia la
flotta nel Mam e al massimo per corso Telesio.
“Bisogna imparare a scrivere con
parole inzuppate di silenzio”[9].
.
Stupore
generato da un cambio di scala, dal monumentale al millimetrico e
contemporaneamente da un cambio di tempo, da quello adulto al tempo
dell'infanzia.
Magia del downsizing alla quale non
è estranea la tradizione cristiana. Pino Stancari s.J. glossa così la lettura
di San Paolo :
“Nostro Signore Gesù Cristo è il sì, l’amen,
il farsi piccolo di Colui che è grande. Piccolezza dell’incontenibile”.
Wells
e le guerre sproporzionate
Gigi, tu
che sei grande e grosso e saggio, dillo tu a Kim Jong-un[10] - che
forse mai ha giocato con le barchette di carta o coi soldatini - di star
calmino.
Gioca con lui, mostragli i tuoi raffinati oggetti luminosi in
metacrilato, non d’idrogeno o uranio arricchito. Portalo con te nel tuo
laboratorio, mostragli il senso della misura. Sproporzionato è il suo sorriso,
la sua gioia demente quando applaude tra mille risolini il lancio del missile[11].
Cosa c'è
di più semplice di una barchetta di carta? Eppure la sua costruzione è frutto
di sequenze, origami docet, di algoritmi di pieghe.
Come nota
Perrella a proposito del detto di Protagora, l'uomo è il metro, nel senso di
metrica, del poema delle cose, “e il loro tempo”[12]. Misura
che non può essere misurata perché atto stesso del misurare. Allo stesso modo
“non ci si può fare un concetto del tempo. Kant lo ha dimostrato una volta per
tutte: spazio e tempo non sono concetti, perché sono invece il presupposto (la
"forma pura") di ogni concettualizzazione (…) I concetti che cosa
sono, in fondo? Quando abbiamo, veramente, concetti? Solo se li troviamo e li
modifichiamo”[13]
(p.85).
Una cosa è la suggestiva e - diciamo – preontologica
esperienza dell'essere guardati dalla luna; altra cosa è concretamente essere
guardati dagli uomini, dagli astronauti che hanno potuto godere di quel privilegiato
punto di osservazione panoramico. “Dalla luna la terra appariva come un oggetto
piccolo e fragile. Oggi so dell'effetto serra e di come si stia deteriorando
l'atmosfera. E penso con sgomento a quel senso di fragilità che ho potuto
vedere.” (Michael Collins). “La terra sembrava spaventosamente piccola,
inerme.” (Buzz Aldrin). “La nostra atmosfera vista dallo spazio era
sottilissima. Mi atterriva la sua immagine così precaria.” (Ulf Merbold).
"Quel che ci rimane è solo la sua parte bianca, e non si tratta di utilizzarla, ma solo di tollerarla.
Lì dobbiamo installarci."
"Accettare il vuoto, il nulla, il bianco. Tutto quel che creiamo è dietro di noi".
Le
testimonianze degli astronauti convergono tutte sul senso di relatività e di
caducità, oltre a evidenziare la necessaria distanza per giudicare verità e
grandezze, tant'è che finiscono con l'ispirare il titolo del pezzo da cui sono
tratte: “Com'era vera quella terra fragile vista dalla luna”, Gianni Riotta in
‘Il Corriere della Sera’ del 16 Agosto 1989. A parte il ribaltamento del punto
di vista, il capovolgimento del cannocchiale, relaziona e relativizza la
distanza alla grandezza, comportando un'inevitabile e comune potentissima
sensazione di Vergänglichkeit (manco fossero Freud, Rilke e Salomè), che
vien da chiedersi che fine abbia fatto tutta la sicumera che supponiamo derivi
dal credo militare e tecnologico oltre che da un'illusione di dominio
intergalattico. Più precisamente occorrerebbe distinguere tra una distanza in
quanto determinata dalla grandezza e una grandezza in quanto determinata dalla
distanza. Questione già esplicitata da Kant che annota l'indicazione da Nicole
Savary circa l'osservazione delle piramidi egizie. “Se ci si avvicina troppo -
è quanto deduce Marco Belpoliti[14], seguendo
Kant e Piranesi - l'effetto di grandiosità si accresce eccessivamente sino a
schiacciare l'osservatore; se ci si allontana troppo esso sfuma fino a negare
il senso stesso del monumento”. Sullo stesso tema così annotava Pascal: “una
città, una campagna, da lontano sono una città e una campagna; man mano che ci
si avvicina, sono case, alberi, tegole, foglie, erbe, formiche, infinite zampe
di formica”. Così la luna da parziale o totale rotondità diveniva ‘Mare della
tranquillità’, vulcani, crateri, poi sassi, poi polvere; mentre la terra - nel
tragitto contrario - diveniva tetti, case, città, regioni, poi - dalla luna -
solo una in(de)finita immagine di fragilità. Le questioni di visione, di
ribaltamento dei punti di vista e di giusta distanza, sono evidentemente i
motivi ricorrenti della ricerca scientifica come di quella letteraria e
filosofica, oltre che gli spunti che hanno provocato l'invenzione degli
strumenti quali gli occhiali (magari quelli di Proust), il cannocchiale, il
telescopio. Ma questi non hanno sgombrato il campo alle incertezze, non sono
stati risolutivi, contribuendo oltretutto a consegnare la conoscenza alla
capacità di visione. Per di dirla con Galileo, “...che quello che è distante,
verbigrazia, nove miglia ci apparisce come se fosse lontano un miglio solo.
(...) E la difficoltà dell'intendere come si formi il canto della cicala,
mentr'ella ci canta in mano, scusa di soverchio il non sapere come in tanta
lontananza si generi la cometa”. Continua frustrazione scientifica nel perenne
tentativo di accorciare le distanze: “ogni distanza vinta: nondimeno sempre da
percorrere?”. Trent'anni dopo subentra una certa confidenza e Paolo Nespoli, in
collegamento (registrato il 17 novembre 2017) dalla stazione spaziale, gioca
con l’assenza di gravità e si mostra irenico e pure molto ironico. [15] Si susseguono le albe, i tramonti, i giorni,
le notti. E’ una rotazione continua e i time-lapse fanno il resto:
[...]
Rotonda è la terra a forza di girare su se stessa.
Il vuoto che l’ha modellata, la voleva così.
La rotondità è frutto della pazienza. Ogni segno
cedendo alla curva.[16]
I ciottoli stessi
son sassi arrotondati. Chi li arrotonda?[17]
Il gioco dei
soldatini ci spiega nitidamente la stupidità delle guerre passate, per quelle
future non abbiam speranze: sappiamo solamente che saranno peggiori, sotto ogni
punto di vista. Qui arriviamo al grande problema di ogni ideatore di regole per
il gioco dei soldatini, che anche Wells deve affrontare: le guerre non solo
sono stupidaggini, sono stupide e noiose in sé[18].
“Il mio gioco è
buono quanto il loro, e più assennato per via della misura. Questa è la guerra,
ridotta a proporzioni ragionevoli (…). Dovete solo giocare tre o quattro volte
a Piccole guerre per capire che idiozia dev'essere una grande guerra. La grande
guerra è oggi, ne sono convinto, non solo il gioco più costoso dell’universo,
ma soprattutto un gioco fuori da tutte le proporzioni. Non solo le masse di
uomini e materiali, le sofferenze e i danni sono troppo mostruosamente grandi
per essere ragionevoli; le migliori teste che abbiamo non sono all'altezza.
Credo questa sia una conclusione pacifica: le Piccole guerre ti danno modo di
arrivarci come niente che non sia la grande guerra è in grado di fare”[19].
Luigi Rovella
THE FLIGHT OF MEMORY
Installazione in metacrilato con illuminazione a LED
cm. 250x250x100
fino al 3 dicembre al MAM - C.so Telesio - Cosenza
Installazione in metacrilato con illuminazione a LED
cm. 250x250x100
fino al 3 dicembre al MAM - C.so Telesio - Cosenza
PAPER BOATS
Polymethylmethacrylate and LED lights
Variable dimensions
Polymethylmethacrylate and LED lights
Variable dimensions
(dicembre 2017)
[1] “Nel 2011
ho capito che il Paese era scalabile” http://firenze.repubblica.it/cronaca/2014/10/24/news/tutto_pronto_alla_leopolda_renzi_alle_20_poi_la_cena-98943058/
[2] Esistono sostanzialmente
due tipi di offerte. L’Opa volontaria viene lanciata per iniziativa
dell’offerente, cioè del gruppo che vuole acquisire il 100% della società
oggetto della scalata. Rientra in questa tipologia l’offerta lanciata da
Lactalis sulla Parmalat. Nel caso di Opa obbligatoria, è l’ordinamento, la
legge italiana, a costringere il gruppo acquirente a lanciare un’offerta se ha
superato la soglia del 30% del capitale della società target o se di fatto ne
ha acquisito il controllo anche con una quota inferiore al 30%.
L’Opa è consensuale quando il consiglio di
amministrazione della società oggetto di scalata si pronuncia favorevolmente
all’offerta stessa. È invece un’Opa ostile, quando il Cda della società da
scalare è contrario all’offerta.
[3] “Sappiamo già di essere sconfitti in partenza,
perché a essere inesorabilmente battuto, (…) sarà proprio quell’io che vuol
vincere”. Pier Aldo Rovatti, L’esercizio
del silenzio, Raffaello Cortina Editore, 1992, pag 101.
[5] Edmond
Jabès, Il libro della condivisione,
Raffaello Cortina, 1992 (Le Livre du
Partage, Gallimard, 1987, trad. it. Di Stefano Mecatti e Anna Panicali),
pag.123
[8] Ruggero
Pierantoni, Salto di scala. Grandezze,
misure, biografie delle immagini, Bollati Boringhieri, 2012.
[9] Edmond
Jabès, Un Ètranger avec, sous le bras, un
livre de petit format, Gallimard, 1989 (trad. it. di Alberto Folin, Uno straniero con, sotto il braccio, un
libro di piccolo formato, SE, 2001, pag. 29)
[10] Nell'onomastica coreana il cognome
precede il nome, "Kim" è il cognome. I suoi due predecessori, Kim
Il-sung, suo nonno, e Kim Jong-il, suo padre. Per molto tempo si credette che
il successore di Kim Jong-il potesse essere il figlio maggiore, Kim Jong-nam,
che però nel 2001 non a caso fu beccato mentre cercava di andare nel parco Disneyland
di Tokyo usando un passaporto falso. Kim Jong-nam visse poi in esilio a Macao
per diversi anni, prima di venire ucciso nel febbraio di quest’anno in
aeroporto a Kuala Lumpur, in Malesia, in un attacco per il quale si è
sospettato il coinvolgimento di Kim Jong-un.
[11] Manco
fosse un un Kriegspiel: le barche muovono di un piede, per passare un fiume guadabile
– una mossa. Per mettere i cannoni in batteria – mezza mossa, etc.
[15] http://www.la7.it/dimartedi/video/in-esclusiva-lastronauta-paolo-nespoli-sullassenza-di-gravit%C3%A0-una-sensazione-di-leggerezza-e-di-13-12-2017-229635
[17] Ricordo gli studi giovanili - per me
"poetici" - dell'attuale Rettore dell'Università della Basilicata,
Professore Ordinario di Costruzioni Idrauliche e Idrologia. Non capivo niente
ma ne ero stregato. Ricordo la curva di Hjulström che è un diagramma
utilizzato per determinare empiricamente le aree di erosione, di trasporto e di
deposizione dei clasti nei corsi d'acqua in funzione delle loro dimensioni e
della velocità della corrente. Ricordo un accenno della modellistica per la
protezione idrologico-idraulica del territorio e per la mappatura delle aree a
rischio di inondazione. Ho poi letto di recente un ritaglio su una scoperta: 3
miliardi di anni fa su Marte scorrevano enormi fiumi impetuosi. La conferma
arriverebbe da antichissimi letti ormai aridi ricchi di ciottoli
straordinariamente tondi e lisci.
[18] Sergio
Valzania, “Non c’è niente come il gioco dei soldatini …”, introduzione a
Herbert George Wells, Piccole guerre,
Sellerio, 1990.
[19] Herbert George Wells, Piccole guerre, Sellerio, 1990 (Little Wars, 1913), p.105
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